Lezione serale #66 Disnâ / Doppodisnâ
“Perché t’impari un po’ di parole cosi quando vieni a trovarci sai come interpretare..”
Su suggerimento (e apprezzamento) di molti, dopo l’articolo “Il temacapolavoro di un genovese in terza elementare (anno 1908)” andiamo a parlare di una parola al suo interno utilizzata.
Partiamo subito con la traduzione dal dizionario Frisoni: Disnâ v.n. desinare, pranzare || s.m. desinare, pranzo || fâ un ___ (pagando ognun a sò parte), fare un pranzo a bocca e borsa, o a lira e soldo.
Aggiungendo un “Doppo“, davanti alla parola, cambia la traduzione? No, ma può assumere significato diverso: Doppodisnâ (dopo pranzo, in sul far della sera)
All’interno del tanto apprezzato tema del 1908 (che ve ne consiglio la lettura QUI!), il ragazzino “storpia” la parola e la italianizza in “depuidirnari”. La cosa sui cui vogliamo porre l’attenzione è questo tentativo “forzato” di passare un termine genovese in italiano. Per molto tempo “disnâ”, “doppodisnâ”, son stati usati dalla maggior parte dei V.E.L. che utilizzavano prima il termine dialettale a quello italiano. La conferma arriva dal figgin che nel tema, pur sforzandosi, utilizza questo termine, perché probabilmente altro non gli veniva!
Il piccolo dizionario etimologico ligure del Prof Toso, come sempre, ci viene incontro.
Disnâ deriva dal francese antico disner, a sua volta dal tardo latino DISJEJUNARE, “rompere il digiuno”. E’ ben documentata in genovese dai testi più antichi (fine XIII) e poi nella letteratura successiva, anni 1660, fino all’Ottocento. […] altrettanto antica è la forma depoidisnâ, per “dopopranzo, pomeriggio”, per la quale oggi si sente dire sempre più spesso Doppodisnâ.
La variante dirnâ, diffusa sopratutto nel gennovese rurale e rivierasco.
Pronuncia
Stavolta, caro foresto, è semplice. Così come si legge, tendendo ad allungare un po la “a” finale, non a caso indicata con “â”, come spiegato nelle varie grafie QUI trattate.
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