I drammi del genovese fuorisede: il mare

Quando ho detto che andavo a vivere a Roma, mi han detto tutti: “Belin, ti invidio, chissà che bella cittadina“.
Ma noialtri nasciûi zeneixi dopo un po’ sentiamo il richiamo di casa.
10 anni dopo, posso confermarvi che Roma è una bellissima cittadina. Ora che è estate, non vedo la Lanterna e non sento il mare frangersi sugli scogli. Lo sapete com’è, andare al mare, da ‘ste parti?



Allora, qui, quando ti vien quella voglia di mare, ti portano a Ostia. Sostanzialmente, andare al mare è una giornata di espiazione. Prima cosa: il mare è lontano. Non è come a casa, che se fai 600 metri ti viene già il nervoso. Qui ti fai 40 chilometri di coda e finalmente capisci che cosa prova il bauscia quando riprende l’autostrada.
Ti trovi a fare calcoli improbabili e alla fine parti nel cuore della notte di tre giorni prima e arrivi comunque tre giorni dopo. Il pre-partenza della domenica mattina comincia con la signora del palazzo di fronte che interroga il marito alle 6.30: “Ahó, a Pierpà’, ma viè’ pure tu sorella chii regazzini? Quanti panini devo da fa?“.
E la signora è la punta dell’iceberg, perché io ho visto gente mangiarsi il pollo coi peperoni portato da casa, in spiaggia.
Da noi la gente che si porta il pollo coi peperoni non l’ho mica mai vista.
Penso che sull’altra riviera (io son di Levante) ti sparano a vista al casello, se ti vedono che c’hai il pollo coi peperoni nella borsa frigo. Diventi subito un turista low cost e in tempo reale ti fanno un murales dei nostri, che ti ricorda che te ne devi stare a casa. Se non ci porti neanche i soldi, turista, non capisco cosa ci vieni a fare.
Invece, qui, la gente si porta tutto da casa. Ombrelloni, lettini, birre in borse frigo grandi come il mio frigo di casa; ho visto gente trasportare cavagni di insalate di riso che… mi sembravano le formiche quando si caricano sulla schiena delle briciole che rispetto a loro sono grosse come il Madagascar.

Nonostante tutti i tuoi calcoli, la coda la becchi sempre. Se non becchi la coda, non parcheggerai mai; se parcheggi, ti chiuderanno nel parcheggio; se non ti han chiuso nel parcheggio, multa;  se prendi il treno per evitare tutta questa casistica, il treno si romperà all’altezza di Vitinia e rimarrà lì, chiuso, ermeticamente sigillato, per almeno mezz’ora. Per scremare un po’ la gente che arriverà davvero alla spiaggia.



Poi, quando arrivi al mare, l’euforia fa spazio alla consapevolezza che comunque sei a Ostia. Quando finalmente arrivi al mare, hai le allucinazioni da grassi saturi provenienti dagli ombrelloni vicini e pensi con nostalgia al silenzio della spiaggia di Renà alle 7 del mattino. A quell’acqua limpida e profonda, ai colori meravigliosi del riflesso del sole sulla lieve increspatura delle onde. “Vabbè, mi faccio un bagno, alla fine è sempre Mediterraneo”. Eh no, eh. Dopo aver camminato per una decina di miglia, l’acqua ti ha finalmente raggiunto il punto vita e vorresti immergerti. Ma ti conficchi sul fondale a mo’ di Cristo degli abissi. Altra decina di miglia. Belin, arrivi a piedi fino ad Arbatax e ci tocchi ancora.  Quando sei praticamente equidistante da tutte le coste cominci a non toccarci più e pensi che puoi mettere la testa sott’acqua. 
Ma perché, che non si vede niente? Per fare lo struzzo di mare? Ma non avete paura che ci siano centinaia di mostri marini, mimetizzati in quest’acqua torbida? Ci credo che poi andate a Rosignano e vi sembra i Caraibi.

Allora abbracci l’oltranzismo. Io al mare non ci vengo. Do l’esempio: sto a casa e vi mando i soldi.