Quando i piemontesi regredirono nel medioevo.

5 Aprile 1849 – L’esercito sabaudo attaccò a sorpresa Genova.
11 Aprile 1849 – Genova alla fine cedette e venne razziata barbaramente.


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A seguito della dissoluzione della napoleonica Repubblica Ligure, il Congresso di Vienna nel 1815 unì la Liguria al Regno di Sardegna (e specifichiamo: NON PER SCELTA DEI LIGURI)

La situazione in “Italia” era complicata ed in continuo tumulto. Dopo l’armistizio firmato il 25 marzo del ’49 da Vittorio Emanuele II di Savoia, i liguri (popolo storicamente “pronto” a manifestare il suo pensiero senza paura), perduta l’indipendenza e ostili verso i Sabaudi, sfociarono nei cosiddetti “moti di Genova”.

Il bullezumme creato dai genovesi portò alla restaurazione di un governo provvisorio autonomo, a Genova.

Per sedare la rivolta, il Re inviò il generale Alfonso La Marmora con l’esercito sardo e il corpo speciale dei Bersaglieri.
Dopo alcuni giorni di scontri, il 5 aprile, un vascello del Regno Unito, il Vengeance, intervenne a favore dei piemontesi.

I maledetti bevitori di thè (Ah, a tal proposito: la bandiera è nostra, PAGATECELA) iniziarono a cannoneggiare la città senza preavviso e, contemporaneamente, presero la batteria del molo.

foto credit: Thebestphotos.eu

La Marmora, d’altro canto, manifestò sin dall’inizio una totale mancanza di umanità e una ferocia quasi “medioevale”. Giunto di fronte alla porta della Lanterna, finse di voler trattare con i genovesi, salvo poi attaccare il comando. Colti alla sprovvista, i genovesi persero le postazioni di San Benigno.

Mentre il fronte a mare combatteva aspramente, anche sui bricchi non si scambiavano carezze. Qui veniamo a conoscenza dell’eroica azione del giovane savonese Alessandro De Stefanis che, nel tentativo di riprendere il Forte Begato, venne ferito ad una gamba e si rifugiò in un casolare. Il brigantino, però, venne scoperto da un manipolo di bersaglieri che infierirono sul giovane ferendolo gravemente e lasciandolo morire di stenti. De Stefanis morì dopo un mese di agonia in casa di un ufficiale indipendentista che, trovandolo giorni dopo senza forze, provò a salvarlo invano.

Genova venne lasciata sola? Teoricamente no, ma di fatto… l’aiuto fu ben poco.

È noto come i Genovesi confidassero nell’arrivo della Divisione Lombarda. Avrebbero potuto invertire le sorti dell’assedio, ma il comando di questi era affidato al generale Manfredo Fanti (conosciuto come fondatore del Regio Esercito). La divisione Lombarda operò in modo tale da non giungere in tempo a soccorrere la città. (Per dover di cronaca, così da spegner subito l’odio-random per i milanesi: I volontari, si narra, volessero accorrere in aiuto, ma fu il generale a desistere, probabilmente per non incorrere nelle ire del suo neo-Re Vittorio Emanuele II)

In aiuto dei genovesi, arrivò una legione militare polacca distaccatasi dalla Legione di Mickiewicz e guidata dal colonnello Breański. Troppo poco per poter resistere ai 25/30mila uomini sabaudi che arrivarono di lì a poco.

Sin dalle prime fasi del bombardamento si era capito come i Piemontesi giocassero duro e non gli importasse molto della città in se’. Presero di mira le abitazioni civili e persino l’ospedale di Pammatone, sparando a raffica dalle batterie di San Benigno. Nel mentre, i soldati del Regno Unito continuarono il bombardamento via mare.

I genovesi riuscirono a resistere fino all’11 aprile.
Da questo momento i piemontesi scelsero di regredire nel medioevo
, violentando donne, uccidendo padri di famiglia e sparando alle finestre alla gente che vi si affacciava.

I racconti riportano come i bersaglieri corressero per strada gridando “I Genovesi son tutti Balilla, non meritano compassione, dobbiamo ucciderli tutti“.

 

Neppure i luoghi sacri vennero risparmiati. Dei prigionieri alcuni vennero uccisi, altri stipati in celle anguste e costretti addirittura a dissetarsi della propria urina.

La ferita dei genovesi con il Savoia non si potrà mai ricucire, specialmente dopo che venne resa nota la lettera che egli scrisse al suo generale:

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